La
dolce vita.
Alla fine degli anni '50, in Italia e per lavoro, mi recai
in auto a Rieti, nel centro della penisola.
Arrivai nel tardo pomeriggio e non avevo altro da fare che
aspettare l'ora della cena. Così, per passare il tempo,
entrai in un cinema. Nel prezzo del biglietto d'entrata era
compreso un avanspettacolo e in quell'occasione conobbi Dario
Fo e Franca Rame, che ancora non avevano spiccato il volo
verso la fama. Facevano avanspettacolo nelle piccole cittadine
italiane.
Dario Fo dal dialogo brillante e Franca Rame, una splendida
e giovane signora con la chioma rosso fuoco, non erano ancora
tanto conosciuti, forse perché dedicati al teatro e
non al cinema, che stava fiorendo all'epoca. Col tempo Dario
Fo ebbe un premio Nobel e Franca Rame divenne senatrice della
Repubblica.
All'avanspettacolo seguì un film dal titolo: La dolce
vita, del quale non avevo ancora sentito parlare e le due
ore seguenti passarono molto rapidamente. Mentre ritornavo
all'albergo continuavo pensando al film perché ero
rimasto sorpreso. Il film era diverso, questo lo sapevo. Diverso
nel contenuto e nella maniera di raccontarlo.
Certo, già tempo prima era cominciato la rinascita
del cinema italiano, il neorealismo, il cinema nuovo. Ma questo
era diverso. La scena finale con la conversazione tra due
protagonisti, sulla spiaggia, era sorprendente. Una conversazione
nella quale la ragazza gridava, ma non si ascoltava niente.
Una cosa mai vista , che faceva pensare. Tutti quei brevi
episodi della vita notturna di una Roma, rinata dopo la depressione
e l'austerità seguita ad una guerra perduta.
Ed io appartenevo alla generazione che aveva visto nascere
i film detti dei telefoni bianchi, ed ora questo era il rinascimento
del cinema. Tanti bei film, uno migliore dell'altro. Questi
furono i veri ambasciatori dell'Italia all'estero. Quando
venni a lavorare in Argentina, era frequente ascoltare le
parole: pizza, Lollobrigida, chianti, “bellitalia”
e la dolce vita.
Quel film, la dolce vita, diventò il paradigma della
vita notturna nelle grandi metropoli europee.
Il progresso
I giapponesi sono un popolo meraviglioso. Annientati, quasi,
da una guerra perduta, hanno creato un'industria, prima di
piccole cose, (io ricordo i loro giocattoli e il motoscafo
che si muoveva nella vasca da bagno con una candelina accesa
per produrre vapore), poi hanno invaso il mondo con le loro
macchine fotografiche, le auto e l'elettronica.
Per far fiorire le industrie c'è bisogno di sempre
maggiori quantità d'energia, ma le esplosioni, recenti
e meno recenti,delle centrali atomiche ha allarmato molti
governi. E le radiazioni danneggiano le cellule, animali o
vegetali che siano. Non si vedono, non si sentono e questo
spaventa e terrorizza perché non si sa quando e come
difendersi.
L'umanità ha fatto grandi progressi nell'uso di nuove
tecnologie e ciò crea situazioni che alcune volte non
siamo capaci di controllare. Abbiamo dovuto subire le conseguenze
di quanto accaduto a Cernobyl e ci hanno detto che era stato
un incidente che difficilmente si sarebbe ripetuto. Però
non è stato così. L'umanità ha cominciato
ad addentrarsi in regioni del sapere ignorate sino a poco
tempo fa e... hic sunt leones!
Dobbiamo conoscere sempre di più, anche per evitare
altri incidenti. Il problema che si pone è quantitativo.
Sino ad ora il pianeta terra è stato sufficientemente
grande per ospitare un numero enorme di individui di una sola
specie: l'umana, e per sopportare i vari incidenti causati
dall'uomo. È stato sufficientemente ricco di materie
prime per soddisfare le esigenze delle sue industrie. È
stato ragionevolmente protetto da una spessa atmosfera ed
ha conservato una quantità di vegetazione che mantiene,
nell'aria, una percentuale di ossigeno che permette la vita.
Ma le cose cominciano a cambiare pericolosamente e non bastano
più le norme religiose, che sono alla base delle regole
che governano le nostre società, per guidare il mondo
e si dovrà avanzare nelle conoscenze. Non saranno più
sufficienti borse di studio e fondazioni dai nomi più
o meno famosi per poter affermare che si fa ricerca. Inizierà,
o forse è già iniziata, l'era della scienza.
Sino ad ora l'umanità è vissuta nell'era delle
religioni. Sono state le religioni che l'hanno aiutata a vivere.
Ora nessuno potrà più fermare l'era della scienza.
Cosa significhi il cambiamento che prima o poi avverrà,anche
se gradualmente, ognuno può tentare d'immaginare. 
Calcolatori
elettronici
Il calcolatore elettronico ha la memoria e la memoria fa parte
delle nostre funzioni cerebrali.
Si tratta di una memoria, si può dire, in vitro. E
l'istinto non è altro che il bottone “inizio”
di un grande programma del PC. Il disco rigido è l'hardware
che corrisponde al sistema neuronale. L'hardware usa energia
elettrica. Le funzioni cerebrali sono attivate dall'energia
elettrochimica.
Già Galvani aveva messo la prima pietra dell'edificio
di questi saperi. Poi la sua scoperta è stata trascurata,
forse perché indizio di problemi molti, molto difficili.
Ora i calcolatori elettronici sono di grande aiuto.
Io ho passato le metà del mio tempo lavorativo raccogliendo
dati dei miei campi sperimentali e trattandoli statisticamente
con una calcolatrice, prima manuale, poi elettrica. Solo negli
ultimi anni di lavoro sono comparsi i calcolatori elettronici.
All'inizio era difficile trovare i software, i programmi.
Ed io passavo molto tempo a fare un programmino adatto alle
mie ricerche e poi, sempre con il PC, in un solo giorno, ottenevo
i risultati dell'analisi dei dati di un intero anno, con il
risparmio di una infinità di ore di lavoro.
Ci sono tante cose da studiare, tanti problemi da risolvere,
la maggioranza dei quali, o almeno i principali, furono presi
in considerazione già dagli antichi greci, fondatori
della nostra cultura, ma non veramente risolti.
È sorprendente ricordare come molti di questi temi
siano stati trattati da filosofi, poeti, alchimisti e sempre
in modo diverso e secondo le limitazioni della fantasia e
della logica umana. Alla fine si cadeva sempre nella verità
rivelata.
La ragione non ha capacità illimitate, ma è
l'unico cammino che l'umanità può percorrere,
anche se ho molti dubbi che l'uomo possa dare soluzione ad
alcuni problemi fondamentali delle esistenze. 
Una
storiella surreale
Ora sono uscito dal pozzo o almeno questo credo. Ma ormai
in pensione, vecchio, solo e con vari acciacchi, mi riesce
difficile trovare uno scopo alla vita.
La storia è cominciata vari anni fa. La mia compagna,
che lo era da più di cinquant'anni, si è ammalata.
Una malattia di quelle che non perdonano. All'inizio si viveva
abbastanza tranquilli. Chiaro c'erano le visite ai vari neurologi,
nelle quali bisognava capire anche quello che essi non dicevano,
ma lei era indipendente. Si parlava, si usciva, s'andava al
ristorante quando ne avevamo voglia. Poi tutto precipitò.
Lei aveva impedimenti per camminare e terminò su una
seggiola a rotelle. Cominciarono le prime difficoltà
per parlare e dopo un po' di tempo divenne silenziosa. E i
giorni passavano e nella casa c'era il viavai delle signore
che la accudivano. Poi c'era la specialista che tentava invano
d'insegnarle a parlare di nuovo, la nutrizionista, la terapeuta
che la faceva camminare con piccoli passi, uno alla volta.
E, nel pomeriggio, un'altra signora cercava d'intrattenerla
con passatempi, carte, dama ed altri giochi, nei quali l'accompagnante
giocava per tutte e due.
E periodicamente dovevo ricoverarla in clinica. E i medici,
le farmacie, le visite sempre più rare di coloro che
erano state sue amiche. E sempre più rare divennero
anche le visite dei medici, che solo alla fine dissero chiaramente
che non c'era niente da fare. Col tempo lei rimase immobile
nel letto, nel quale anch'io, la sera, disfatto, mi sdraiavo
addormentandomi immediatamente. E la mattina mi svegliavo
già stanco e tutto ricominciava da capo. Una vita d'inferno.
E c'erano anche tante cosa da fare fuori casa. Ed io non volevo
muovermi per controllare che tutte le persone estranee facessero
il loro dovere.
Poi dovetti subire una operazione chirurgica per controllare
una brutta malattia. E allora chiesi aiuto. Tante, tante volte,
ma tutti avevano il loro lavoro e le loro cose da fare. È
logico. Erano lontani e dovevano curare i loro interessi.
Quante telefonate solo per una rapida visita e quante telefonate
inutili. E sempre più spesso i telefoni di coloro ai
quali chiedevo qualche favore divenivano muti.
Quando anch'io mi ammalai ci fu un periodo nel quale non sapevo
chi se ne sarebbe andato prima, se io o la mia compagna. Mi
operarono. E tornai a casa con la speranza d'esser guarito.
La mia compagna se ne andò per sempre. Tutta una tragedia
greca! Dopo aver trascorso mesi neri, ora so cosa significa
la depressione ma, ripeto, credo d'esser uscito dal pozzo.
Ripensando a tutto quanto mi è accaduto in questi ultimi
tempi, mi sono trovato d'accordo con Nietzsche: bisogna essere
forti e implacabili nella vita quotidiana, come lo furono
i nostri progenitori (la bestia bionda) ed ho ricordato una
storiella surreale, ascoltata tanti, tanti anni fa, quand'ero
studente all'università:
“Un carro armato, un po' arrugginito, un po' sgangherato,
si avvicinò al Colosseo e disse: -Colosseo!..Colosseo!,
tu che hai vissuto più di mille anni e sei saggio ed
hai visto tante cose, tu conosci la vita....abbi pietà....aiutami!
Sono vecchio e malato, non più in grado di mantenere
la mia famiglia. A casa ho tanti figli, tanti carri-armatini
che hanno fame. Dammi un po' di pane.
-Ma il Colosseo non rispose.
E di nuovo il carro armato: --Colosseo!..Colosseo!, tu che
hai vissuto più di un millennio ...aiutami! ... .
-Ma il Colosseo restò muto. E così, di seguito,
molte altre volte.
Alla fine il narratore, cambiando tono, con voce profonda,
dice: -Morale della favola: “ Non chiedete pane al Colosseo,
tanto non ve lo dà!” 
Crisi
agricola.
Forse sta cominciando una crisi agricola mondiale. I prezzi
delle derrate crescono nei mercati internazionali. Le rivolte
delle popolazioni del nord d'Africa, dei nostri giorni, sembrano
essere causate, in parte, dalla fame della povera gente. E
c'è fame in molte regioni dei vari continenti, anche
se queste notizie non appaiono spesso sui giornali o sulla
televisione.
C'è siccità e fame nel ”Corno d'Africa”
e in Africa c'è sempre fame da qualche parte.
Nel secolo passato grandi progressi sono stati realizzati
nell'ambito agricolo. Ma la popolazione mondiale è
cresciuta enormemente. Tornerà di moda Malthus? Ricordo
che c'era un modo di dire, in passato, quando si voleva disprezzare
qualcuno: “ma vai a fare il contadino!” Ma il
contadino, ai nostri giorni, deve destreggiarsi con conoscenze
di biologia, di fisica, di chimica ed economia, e non deve
contribuire al cambiamento climatico. C'erano molte idee non
dico sbagliate, ma non esatte nel mondo agricolo di ieri.
Nelle regioni i cui terreni erano poveri di fosforo, era necessario
incorporare grandi quantità dell'elemento, si diceva,
per elevare i rendimenti delle varie coltivazioni, senza preoccuparsi
molto, perché tanto il fosforo viene trattenuto dalle
argille. Poi si è scoperto che il fosforo può
raggiungere la foce dei fiumi ed i laghi, causando grande
sviluppo delle alghe che consumano l'ossigeno presente nelle
acque e provocano la morte di tutto quanto vive.
Grandi incrementi dei raccolti sono stati ottenuti con l'uso
di fertilizzanti azotati, prodotti dall'industria chimica
pesante, e poi ho letto che in alcuni paesi è stato
proibito l'uso degli stessi quando i nitrati superano certi
limiti, nel suolo, perché troppo pericolosi per l'uomo.
Si è sempre insegnato nella scuole di agricole e non,
che bisognava arare i terreni prima della semina e che maggiore
era la profondità della rimozione del suolo meglio
era, tanto le nostre industrie erano capaci di produrre trattori
sempre più potenti.
Poi abbiamo visto che in questa maniera si rendeva sempre
più grave l'erosione idrica ed eolica della parte del
suolo più superficiale, la più ricca, la più
fertile. Questo nei paesi meno sviluppati dove non si praticava
l'agricoltura intensiva, perché nei paesi di più
antiche tradizioni tutto quello che poteva essere eroso dall'aratro,
lo era già stato. Ed ora si cerca di rimediare seminando
direttamente nel terreno, senza arare.
Tutte cose che si studiano nelle Università e Stazioni
Sperimentali Agricole, ma che sono ancora poco conosciute.
Queste ricerche sono difficili e richiedono tempo. E come
in tutte le ricerche si commettono errori. Errori nei campi
sperimentali che, ogni volta, fanno perdere un intero anno.
Errori cui si può mettere rimedio più facilmente,
in laboratorio, dove i dati che corroborano quelli ottenuti
in campo possono essere validati in tempi brevi.
Ed infine la elaborazione statistica dei risultati ci permette
ottenere medie con intervalli fiduciari, al livello di probabilità
scelto. E tutto questo per ottenere un'indicazione sulla via
da seguire nella ricerca, secondo l'ipotesi di lavoro presa
in considerazione. Questo significa tempo, molto tempo e denaro,
molto denaro. Cose poco disponibili.
Nel secolo ventesimo è stata disprezzata l'ipotesi
di Malthus ( la progressione aritmetica dell'incremento delle
produzioni agricole e la progressione geometrica dell'aumento
della popolazione mondiale ). Certo Malthus fece i calcoli
con i dati del suo tempo. Inoltre nel secolo ventesimo sono
stati realizzati progressi sorprendenti in agronomia. Ma ora
si hanno le prime avvisaglie della realtà delle sue
previsioni. È sufficiente pensare al numero di individui
presenti nelle diverse popolazioni.
E bisogna poi tener presente che gli esseri umani, che cercano
nuovi orizzonti, hanno diritto non solo a sopravvivere, ma
anche a vivere con dignità, come veri esseri umani.
E la natura sembra non aver previsto questa esigenza. C'è
molto da fare nella ricerca agricola e bisogna farlo in fretta.
E non sarebbe male promuovere la lettura del libro di J. Steinbeck:
“The grapes of wrath” insieme alle teorie di Malthus.

Fisica e agricoltura
Alcuni giorni fa ho letto una pubblicazione in cui si parlava
dell'acqua nel suolo. Vi erano citati alcuni miei lavori realizzati
quando, ancor giovane, lavoravo in una stazione sperimentale
in Argentina. In quei tempi, in questo grande paese agricolo,
si poteva ancora fare ricerca indipendente.
Io studiavo la morfologia degli apparati radicali di alcune
coltivazioni agricole ed i miei dati sperimentali mostravano
che le radici avevano la capacità di esplorare il suolo
a profondità notevoli, anche di vari metri. Allora
si presentò l'altro problema. Quale era l'apporto,
allo sviluppo della vegetazione, dell'acqua e degli elementi
nutritivi presenti nelle successive cappe del suolo, a sempre
maggiore profondità.
Un metodo era l'uso di elementi radioattivi che io scelsi,
visto che gli altri metodi erano per lo più distruttivi
e richiedevano un enorme quantità di lavoro. Ma gli
elementi necessari per questa ricerca non si vendono in farmacia!
Così dovetti fare un corso di vari mesi per ottenere
l'autorizzazione per l'uso di radioisotopi. Con la collaborazione
dell'Istituto Nazionale per l'Energia Atomica che fornì,
in prestito, alcuni apparati costosi, riuscii nell'intento.
Ed era molto eccitante poter seguire come le radici penetravano
in profondità e come variava il profilo idrico nel
suolo a seguito dell'estrazione dell'acqua. Era possibile
vedere, inoltre, le variazioni riportate su grafici e calcolare
i consumi idrici richiesti per produrre ciascun chilo di grano,
di mais, etc., tutte cose venute di moda recentemente e di
cui parlano anche i quotidiani in questi ultimi anni, da quando
si è resa manifesta la preoccupazione dei governi per
questi problemi.
Ma lavorare con elementi radioattivi in una sperimentale agricola
presenta anche alcune difficoltà. Tutti avevano paura
delle radiazioni e delle possibili contaminazioni, anche se
ancora non era avvenuto l'incidente di Chernobyl e non si
conoscevano le terribili conseguenze delle esplosioni delle
centrali atomiche del Giappone. Certo le radiazioni, anche
se controllate, non si sentono e non si vedono e questo spaventa.
Così una volta dovetti caricare i miei apparati da
“apprendista stregone” su un'auto e portarmeli
a casa in seguito alle lamentele del personale dell'amministrazione
che, in fin dei conti, non aveva niente a che fare con tutte
quelle strane cose.
Ed ho sempre ricordato a quando, in Italia, si parlava dei
ragazzi di via Panisperma che, a Roma, lavorarono in fisica
teorica, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali.
Là lavorava Fermi, poco più che ventenne, il
quale aveva avuto la grande fortuna di cominciare sotto la
direzione di un vecchio e saggio fisico, che lo apprezzava
molto e lo aiutò a creare la cattedra di fisica moderna.
Cosa rara, con il sistema delle baronie imperante nelle Università.
Così si formò un piccolo gruppo di giovani entusiasti,
che fecero grandi cose.
Ma qualcosa di strano doveva pur esserci nel destino di tutti
quei giovani. Fermi finì in America, a Los Alamos,
a fabbricare la prima bomba atomica, e morì di cancro.
Majorana, un giovane geniale, semplicemente scomparve dopo
essere stato nominato professore nell'Università di
Napoli, ed ancora oggi non si sa cosa gli sia successo. Pontecorvo,
quando ancora esisteva la cortina di ferro, fuggì in
Russia a dirigere un istituto dove ci si occupava dei suoi
neutrini. Segre se ne andò anche lui in America a vincere
un premio Nobel. Rasetti, non appena ottenuta la pensione,
partì per il Canada, dedicandosi alla coltivazione
delle orchidee. Di altri non so.
A Roma rimase Amaldi che lavorò molto alla creazione
di istituti di ricerca europei. Oggi, si parla ancora molto
di quei ragazzi di via Panisperma, e ci si riferisce a loro
come la “Scuola di Roma”.
Il
sorriso degli Dei.
“Zefiro torna e 'l bel tempo rimena,
e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,
..e primavera candida e vermiglia...”
Questa è poesia. Questa è primavera. Ma poi
il canto termina col il pianto per la perdita di Laura. E
la stessa cosa accade con le poesie di un altro grande:
...Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera d'intorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì che a mirarla intenerisce il core.
Anche questa è primavera, primavera vera, ma tutto
termina tristemente. Sempre la stessa storia. E poi chissà
perché tanti scrivono in versi. Nessuno ha mai saputo
spiegarmelo, perché è poesia anche:“Addio,
monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime ineguali,
note a che è cresciuto tra voi,.....” e non è
scritta in versi.
Ma queste son tutte cose che si studiano da giovani, al liceo
e restano un vago ricordo e non se ne parla più. Però
si rileggono al finale della vita e son causa di un sorriso,
appena accennato, sulle labbra di vecchi bastonati dalla vita.
Solo un accenno di sorriso, come quello che si osserva sulle
labbra delle statue degli antichi Dei greci, perché
loro sapevano che la felicità è passeggera ed
è uno stato d'animo variabile che non s'addice ad una
divinità, che deve solo sorridere, sorridere appena,
ma eternamente. 
Il
cane del vicino della casa accanto.
Sono molti anni che vivo nella stessa casa e nulla è
cambiato. Solo da un paio di settimane è comparso un
cane tutto nero, né grosso, né piccolo, uno
di quei tanti bastardi che vanno e vengono nella città.
Nei primi giorni della sua comparsa mi seguiva sempre, tutte
le volte che uscivo, fino al fondo della strada. Poi tornava
indietro. Cercava in me il padrone. Aveva scelto come residenza
un angolo davanti alla porta del garage del vicino della casa
accanto.
La famiglia del vicino aveva già due cani ed evidentemente
non aveva intenzione di adottarne un altro. Però si
preoccupava di lasciare sul marciapiede un po' di acqua e
qualcosa da mangiare. E il cane randagio intese che la sua
nuova posizione sociale poteva essere quella di guardiano
della casa, anche se non gli era permessa una maggiore intimità
con la famiglia. Allora il suo comportamento, nei miei riguardi
e nei riguardi dei passanti, cambiò.
Quando ci si avvicinava alla porta del garage si erigeva sulle
quattro zampe e abbaiava disperatamente. Era evidente che
voleva imporsi come guardiano della casa e che stava assolvendo
il suo compito. E questo comportamento durò per alcuni
giorni. E doveva essere così con tutti i passanti,
perché l'incaricato di portarmi in casa il giornale
andava in giro con un bastone per difendersi dalla bestia.
Ultimamente il suo comportamento è cambiato di nuovo.
Non abbaia più minaccioso quando gli passo davanti.
Solamente solleva la testa, mi guarda e resta accucciato sul
marciapiede. Sembra aver inteso che l'abbaiare non è
servito a migliorare la sua posizione sociale di “guardiano
non richiesto” e che io non ho poteri per aiutarlo nel
suo tentativo di ottenere un lavoro stabile.
Allora ho pensato che gli uomini non vogliono o sono incapaci
d'intendere gli animali. Cartesio negava in essi la presenza
di qualsiasi realtà non materiale. Negli animali anche
il dolore, innegabile, non è vero dolore, ma solo un
riflesso organico! Ma negli animali c'è intelligenza.
Non può esprimersi, perché non ci sono organi
per farlo, esattamente come agli uomini mancano organi appropriati
per vedere, ascoltare o toccare altre realtà che non
vediamo, non ascoltiamo, non sentiamo e solo, forse, immaginiamo
e tentiamo di definire, senza poterle comprovare con quei
criteri della moderna scienza che ci sono familiari.
A proposito..., sono vari giorni che il cane, che voleva fare
il guardiano della casa accanto, non si fa più vedere.
Forse ha capito che è meglio cercar altri orizzonti
di lavoro. Come fanno gli emigranti. 
Cosmogonia
...Interminati spazi...e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
... Ove per poco..Il cor non si spaura...
Quando gli anni sono molti è necessario cercare risposte
ad alcune domande che tutti si pongono, se si vuole raggiungere
quella “profondissima quiete... ove il cor non si spaura
“.
Ed i vecchi si chiedono: chi sono, da dove vengo, dove vado?
Da dove vengo e dove vado io non lo so. So solo che ho i piedi
appoggiati sulla superficie di un pianeta che gira. All'inizio,
ci dicono, qualcosa delle dimensioni della testa di uno spillo,
esplose e il prodotto dell'esplosione sta ancora espandendosi
ai nostri giorni, in forma di stelle, pianeti, galassie e
cumuli di galassie. Espandendosi dove? In uno spazio con la
sua quarta dimensione, il tempo, che si crea con l'espansione...
difficile da intendere.
Dopo l'esplosione si formarono particelle sub-atomiche e poi
atomi e molecole.
Gli abitanti della Grecia classica, sorprendentemente geniali,
si erano resi conto che la materia poteva essere suddivisa
all'estremo. Prima in due, poi in quattro, poi in otto parti
e così successivamente, ma che il processo non poteva
continuare all'infinito, altrimenti si finiva come nel caso
di Achille che insegue la tartaruga, ma Zenone si sbagliava
e l'ultima particella, che non poteva più essere divisa,
fu chiamata atomo. E la scienza umana, in fatto di fisica
atomica, rimase a questo punto per millenni. Poi alcuni fisici
cominciarono ad occuparsi dell'atomo e lo immaginarono a somiglianza
di un sistema stellare. Un nucleo centrale costituito da particelle
(protoni e neutroni), attorno al quale girano gli elettroni,
che equilibrano il sistema con le loro cariche negative. La
materia sarebbe sostanzialmente spazio vuoto.
E poi sono saltate fuori molte altre particelle ad ognuna
delle quali è stato dato un bel nome e tra queste ci
sono i positroni, che sarebbero elettroni con cariche elettriche
positive. Ed anche le altre particelle, con elettricità
positiva e negativa, avrebbero ognuna la particella con carica
contraria. Vale a dire che ogni costituente della materia
avrebbe il suo contrario, cioè esisterebbe la materia
e il suo contrario, l'antimateria. Esisterebbe un mondo positivo
ed un mondo esattamente uguale, ma con carica negativa.
Avrà niente a che fare questo con l'eterno ritorno
e l'idea che si ritorna sempre al principio, perché
l'elettricità positiva reagisce con la negativa, causando
esplosioni. E forse questo è avvenuto nell'universo.
Materia e antimateria hanno causato il big bang, creando uno
spazio-tempo nel quale anche noi siamo sospesi. Il nostro
universo non sarebbe altro che la differenza, tra materia
positiva e negativa, che sarebbe rimasta accanto ad una quantità
enorme di energia, che gli astronomi chiamano energia oscura
che non possiamo vedere né localizzare con i nostri
magnifici apparati, ma che esisterebbe e che spiegherebbe
l'espansione, a sempre maggiore velocità, dei confini
dell'universo nello spazio-tempo. E forse tutto si ripeterà
da capo. Anche questo è difficile da capire. Forse
occorreranno altri mille anni per intendere qualcosa di più!
Poi le particelle si unirono per formare molecole e solidi,
liquidi e gas. Come avvenne la formazione di solidi, liquidi
e gas, con enormi pressioni e temperature, possiamo immaginarlo.
Più difficile è immaginare come si passò
dalle rocce alla materia organica e come le molecole si unirono
in amminoacidi.
Anche Napoleone disse qualcosa sull'argomento quando volle
dare una spiegazione all'origine della vita, affermando che
forse l'elettricità era stata la causa di tutto (aveva
conosciuto Volta!).
E alcuni amminoacidi si unirono in catenelle con incastri
(simili a quelli che i falegnami fanno per unire due pezzi
di legno) e sempre nella stessa forma elicoidale e levogira,
in tutti gli animali. Quando questi amminoacidi trovarono
la maniera di riprodursi, formarono geni e cromosomi, che
solo da pochi anni abbiamo imparato a conoscere nella loro
forma di spirale.
Ai miei tempi lo studio della genetica non andava più
in là di Mendel e Morgan, con il suo moscerino, la
drosofila, e poco più. Che tutti gli amminoacidi, negli
animali, siano levogiri forse è dovuto al fatto che
in origine se ne formò uno solo che poi si riprodusse,
tanto è difficile che il fatto si verifichi (cioè
che abbia origine la vita). Inoltre questa prima sintesi doveva
avere la capacità di riprodursi e formare molti geni
e cromosomi uguali ed infine il primo microrganismo. Seguì
l'evoluzione.
E l'insieme dei geni, guidato dal caso, andò verso
una sempre maggiore complessità. Si trasmise da individuo
a individuo all'interno della specie e le mutazioni portarono
alla creazione di nuove specie. Forse sono sempre gli stessi
geni che, modificati, si si trasmettono in nuovi individui,
poi in nuove specie e, insomma, vogliono vivere eternamente
(“il gene egoista!”). I singoli esseri muoiono
in tempi brevi e per motivi futili. Gli individui sembrano
non essere importanti. Noi non siamo importanti.
Gli esseri viventi sono formati da atomi e quindi, fondamentalmente,
da vuoto ed energia. Galvani, il grande dimenticato, aveva
scoperto che negli organismi animali c'era energia elettrica.
Ed è l'elettrochimica che fà funzionare tutti
gli organismi ed il sistema nervoso che, solo nella testa,
può avere fino a 100 mila milioni di neuroni (quanti
Gb!), tutti connessi tra loro mediante neurotrasmettitori.
E nessuno sa ancora come tanti neuroni interagiscono tra loro
ed allora...il pensiero! Chiaro, viene subito in mente il
PC. Ma il salto è grande.
Infine, questa è la mia cosmogonia. Migliore di quella
che i primi homo sapiens seppero immaginare o ignorare come
fece Budda, perché non serve per vincere il dolore
e raggiungere la “profondissima quiete“. Se qualcuno
ha una cosmogonia migliore mi informi perché, data
la mia età, se dovrò andarmene, voglio almeno
sapere dove ho posato i piedi sino ad ora.
Una
passione
Dopo la laurea, in Italia, avevo ottenuto l'incarico d'insegnare
in una scuola tecnica. La mattina dovevo alzarmi presto e
viaggiare per un'ora buona prima d'arrivare a destino. Di
tutti quei viaggi ricordo i lunedì, quando il vagone
si riempiva di gente che conversava delle partite di calcio
del giorno anteriore, della domenica. Ed io ero sulle spine,
perché non avevo visto nessuna partita, né ero
tifoso di nessuna squadra e rimanevo isolato e silenzioso,
sino alla fine del percorso.
In casa, mio padre non si interessava a questo sport, se sport
si può chiamare veder giocare altri, seduti comodamente
in casa, ascoltando la radio. Non c'era ancora la televisione
e naturalmente anche tutta la famiglia ignorava olimpicamente
quel divertimento. Così tutti i lunedì non vedevo
l'ora d'arrivare a destino e porre termine a quella specie
di tortura e pensavo che gli italiani erano tutti un po' fanatici.
Poi, per lavoro, mi trasferii in Argentina e caddi dalla padella
alla brace, perché qui il paese è un esportatore
di calciatori professionisti! Ma nei giorni scorsi ho ascoltato
un discorso che mi ha lasciato sconcertato.
Alla televisione, sul canale trasmesso dall'Italia, una gentile
signora parlava della guerra fredda, del muro di Berlino,
delle tragedie avvenute nel tentativo di passare da un lato
all'altro della Germania, di famiglie separate e tra queste
funeste tragedie era compreso il fatto che i tedeschi erano
costretti a giocare i campionati di calcio in due nazionali
differenti!
Mi sembra che si stia esagerando. Io, da scettico tifoso,
non vedo nulla di tragico nel fatto che esistano due squadre
nazionali per uno stesso paese e... non vorrei che si ritornasse
alle usanze degli antichi aztechi, quando il capitano della
squadra perdente veniva sacrificato! 
La creazione dell'uomo
Seduto su una poltrona, d'inverno, con le gambe al sole che
entrava da una finestra grande e luminosa, vedevo nitido il
contorno di un piede e mi domandavo chissà in quale
parte dei cromosomi saranno i geni che guidano la sua crescita
e poi ne conservano la forma. E mi venne in mente la creazione
dell'uomo, di Michelangelo, con la mano di Dio tesa a raggiungere
quella di Adamo, per trasmettergli la vita. Decisamente Michelangelo
era molto ignorante in fatto di genetica! Non fu quel vecchio
dai capelli candidi che dette forma e vita al piede. Furono
i geni presenti nei cromosomi.
Ma quanto tempo abbiamo dovuto aspettare per modificare le
fantasie scritte in uno dei primi libri dell'umanità,
una umanità di pastori, che ben poco sapevano di genetica.
E ben poco ne sappiamo ancor noi, dopo migliaia di anni, anche
se siamo ben coscienti di aver fatto grandi progressi. 
La
vita
Non occorre essere grandi biologi per rendersi conto che esiste
una volontà, nella natura, che vuole creare sempre
più vita. È come una grande fabbrica di auto.
La fabbrica usa metalli, materiale plastico, un gran numero
di piccole quantità d'altri prodotti e, ai nostri giorni,
apparati elettronici. La natura usa proteine, lipidi, ormoni,
molta acqua, un gran numero di piccole quantità di
altri prodotti e un sistema nervoso (e quindi pensieri, sentimenti
ed un sacco d' altre cose che chiamiamo intelligenza).
Nella fabbrica di auto alcune volte qualcuno sbaglia e le
auto, apparentemente perfette, non vincono le corse. Nella
creazione di esseri viventi accade esattamente la stessa cosa.
La fabbrica produce un gran numero di auto per venderle. La
natura produce un gran numero di individui. Per farne che?
Ma, infine, sembra che la vita sia una cosa abbastanza rara
nella piccolissima parte dell'universo che stiamo tentando
di esplorare e, forse, non molto importante. 
...”come
l'aratro in mezzo alla maggese”.
Giovanni Pascoli è stimato un poeta leggero, sentimentale,
che nei seguenti pochi versi sembra presagire la fine dell'aratro,
usato dall'uomo nel corso di millenni e che ha accompagnato,
con continui perfezionamenti, lo sviluppo della civilizzazione.
“Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.” (1)
Nel 1960, quando cominciai la mia attività nei campi
di La Pampa, in Argentina, notai che il dispositivo per regolare
la profondità del lavoro, negli aratri, era sempre
fissato a 15 cm.
Certamente qualcuno aveva provato a variare la profondità,
sempre in modo molto superficiale, ed aveva affermato che
questa era la profondità ottima per i campi della zona.
Credo che nel paese non esistessero i cosiddetti aratri da
scasso. Ma io volli provare ad arare a varie profondità,
senza immaginare che sarei arrivato alla conclusione esattamente
contraria all'ipotesi di lavoro, che fosse meglio realizzare
lavori profondi: meglio eliminare l'aratro!
Studiando la semina diretta, senza rimozione del suolo, risultò
che questa era, in ultima analisi, la più conveniente,
perché consentiva la conservazione del suolo e dell'acqua
e minori spese per le lavorazioni. Quindi si poteva abbandonare
l'aratro, “senza buoi, dimenticato, tra il vapor leggero”.
E questa sarà la tecnologia del futuro nella maggior
parte dei paesi produttori di derrate agricole.
1) Da: Lavandare di Giovanni Pascoli. 
Colonialismo
e Imperialismo.
Eravamo seduti ad uno di quei tavolinetti sistemati davanti
ad un bar, su una piazza, in una città dell'America
Latina. Dall'altro lato della piazza erano fermi alcuni tassì
in attesa di clienti.
Ad un certo momento un signore, seduto ad un tavolino adiacente,
trasse dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di dollari e,
scelto accuratamente un biglietto da cinque, lo piegò
longitudinalmente e tenendolo tra il dito indice ed il medio
della mano alzò il braccio, agitandolo in maniera da
essere visto dalle auto in attesa di clienti. Immediatamente
un tassì si mise in moto e si avvicinò. Il cliente
si alzò e, sempre con il biglietto tra le dita, si
sistemò sul sedile posteriore dell'auto, che si allontanò
rapidamente. Io rimasi pensieroso: era questo colonialismo
o imperialismo?
Leggo in una enciclopedia che il colonialismo si differenzia
dall'imperialismo perché il primo impone la propria
cultura alle popolazioni sottomesse. 
Evoluzione
in atto.
Credo che l'umanità stia evoluzionando. Molto, molto
lentamente ma evoluzionando, anche se non sempre nella giusta
direzione.
Eravamo ad una cena. Avevo vicini una signorina molto chiacchierina
ed un signore corpulento. Questi era un professore che insegnava
fisico-chimica in una università. Mi sembrava che quest'ultimo
avrebbe dovuto essere un prodotto ultimo dell'evoluzione,
Un punto d'arrivo ai nostri giorni. Ma ora spero che non sia
così.
La signorina, infatti, raccontava un episodio che aveva fatto
scandalo. Genitori che avevano picchiato una loro bambina
di pochi anni. Il professore intervenne nella conversazione
deplorando profondamente l'accaduto.
-Io, disse, non ho mai picchiato i miei figli, che ora sono
grandi. Mai toccati con un dito.
Certo che in alcune occasioni ho dovuto punirli, ma solo per
imporre alcune regole che non devono essere trascurate in
una famiglia. Io prendevo il colpevole e lo mettevo sotto
la doccia d'acqua fredda. E mentre lui piangeva, chiedevo:
-vuoi ancora bene a papà? E la doccia si interrompeva
solo quando il piccolo diceva sì. Così non c'era
violenza.
La signorina chiacchierona rimase muta. Io non ebbi il coraggio
di chiedere a che temperatura fosse l'acqua della doccia.
Non esistono fatti, ma solo interpretazione dei fatti ma,
talvolta, è difficile intendere l'evoluzione ed il
suo prodotto finale e se l'evoluzione ha davvero una finalità.

Scherzo
In questo momento il passato non c'è più. Il
futuro non c'è ancora. C'è il presente, ma è
un attimo.
Ecco..., ora è già l'attimo seguente! È
il “panta rei” degli antichi greci, anche se la
teoria dei limiti dice che la divisibilità dei tempi
non potrà seguire all'infinito e che Zenone non aveva
ragione e Democrito sì, quindi... anch'io dovrò
lasciare questo mondo. Come tutti.
Sono vecchio. Ho tanti anni. “La favola breve è
finita” e non mi resta molto tempo. Tutti lo dicono.
Ma io non so cos'è il tempo...l'inizio dei tempi...il
tempo infinito! È uno di quei pensieri che ti fanno
disperare.
Accidenti... mi vien voglia di dire due parolacce come quando,
dopo aver lasciato l'auto all'aperto, “a mezza notte,
il verno” il mattino seguente scaricavo inutilmente
la batteria e perdevo la speranza d'arrivare in orario al
lavoro.
Ma ho trovato una risposta alla domanda di cosa è il
tempo. Una bella risposta.
“È l'ombra d'un sogno che fugge...”.
E chi ha detto che ciò che è bello dev'essere
anche vero? 
Crisi
economica
Siamo nell'anno 1911, A.D. C'è crisi economica in quasi
tutti i paesi, anche nei più ricchi. Nei paesi poveri
non c'è crisi. In questi non c'è niente di nuovo.
Loro sono sempre in crisi. I giornali, le radio e le televisioni
spiegano, ai più sprovveduti, le leggi dell'economia
e una varietà molto grande di motivi che causarono
la crisi. Sembra di rileggere “Er frutto de la predica”
del Belli :
“Letto ch'ebbe er Vangelo...
Quer bon padre Curato... Se piantò...
A spiegà li misteri de la fede.
…
Raccontò 'na carretta de parabole,
E ce ne fece poi la spiegazione,
Inzomma, de la predica de jjeri,
Ggira che tt'arrigira, in concrusione
Venissimo a ccapì cche ssò mmisteri.
Ed anch'io ho capito un grande mistero. Non c'è da
piangere sulla crisi attuale, inevitabile, perché non
è stata rispettata “la legge delle leggi dell'economia”:
non si deve mai spendere più denaro di quanto se ne
guadagna, altrimenti si fanno debiti. Ma un bel giorno i debiti
devono essere pagati e con gli interessi. E questo è
doloroso per molti, specialmente per i più deboli,
in un mondo dove tutti fanno la stessa cosa. 
L'aldilà.
In un giornale italiano, molto serio, ho letto l'articolo
di un filosofo, apprezzato ai nostri giorni, che esponeva
idee espresse in alcuni suoi libri. Non è che abbia
capito molto delle sue elucubrazioni, ma ho la scusa di non
aver letto i libri di cui si parlava. Però sono rimasto
particolarmente colpito da una citazione di Eraclito, quello
del “panta rei”, che afferma che, dopo la morte,
gli uomini sono attesi da cose che essi non sperano, né
suppongono. Tra queste cose ci sarebbe una grande gioia, che
non si potrà neppure evitare.
Capirete...! ho più di ottant'anni e questo della gioia
post mortem mi interessa moltissimo.
Nel giornale era trascritta anche la frase originale, in greco,
che ho provato a tradurre per essere sicuro delle sua interpretazione,
ma non sono riuscito a trovare la radice di un verbo e non
ho più e, quindi, non ho potuto consultare, il Pechenino
che tenevamo nascosto in tasca al liceo, perché proibito.
In ogni modo questo credo che l'uomo troverà necessariamente
una grande gioia nell'aldilà mi ha fatto trascorrere
una bellissima giornata di tranquillità e buon umore.
Sino ad ora io pensavo sempre all'inferno, come descritto
tanto bene da Dante.
Dante ha scritto molte terzine che sono splendide ma, a pensarci
bene, più che un poeta è stato un architetto,
perché è lui che ha disegnato inferno, purgatorio
e paradiso con una struttura ed un contenuto che non esistono
nella bibbia o nella mitologia greca e, credo, in nessuna
altra religione. Tutti conosciamo l'inferno di Dante. Omero
ci parla di ombre di eroi morti, con la mente obnubilata,
in un mondo oscuro e senza speranza. Di altri inferni non
so.
Non mi importa niente di tutte quelle cose dell'articolo del
giornale, non definite, delle quali non ho capito niente,
ma volete che l'idea, completamente nuova per me, della grande
gioia che ci attende non piaccia ad uno che ha compiuto da
poco ottantadue anni?
Ma poi scopro che l'autore dell'articolo del giornale, che
ha scritto queste belle cose che mettono allegria ai vecchi
e li aiutano a vivere contenti, ha la mia stessa età
e mi viene un dubbio. Si tratta forse di: “Cicero pro
domo sua”? .
Il
mondo, come noi lo vediamo, è il risultato dell'attività
della nostra mente.
Il mondo che noi conosciamo è una costruzione della
mente. Sono i sensi, principalmente la vista, che trasmettono
al cervello i segnali che saranno poi elaborati nella costruzione
di quell'universo che noi pensiamo sia la realtà che
ci circonda.
Non so dove, ho letto che gli antichi greci credevano che
fosse la luce, proveniente dagli occhi, che illumina gli oggetti
ne permette la visione, ma furono gli arabi che, mille anni
dopo, lasciarono scritti nei quali affermavano il contrario:
è la luce del sole che, riflessa dagli oggetti, arriva
agli occhi rendendo possibile vedere.
Nel suo grande romanzo “Il nome della rosa” Umberto
Eco ci descrive come uno dei suoi personaggi si costruisce,
nell'età media, un paio di occhiali per porre rimedio
alle deficienze della sua vista. Ma solo verso la fine del
1600 Leeuwenhoek costruì qualcosa che potremmo chiamare
microscopio e descrisse strutture di alcuni organi vegetali
e ammirò un mondo popolato di piccolissimi animali,
tutti in una goccia d'acqua e “vide” nei gameti
maschili dell'uomo un “homunculus” che crescendo
sarebbe poi diventato un uomo! Ma solo grazie a Leeuwenhoek
abbiamo potuto creare nella nostra mente l'immagine di un
mondo microscopico mai esistita anteriormente.
I neuroni della nostra mente sono cento miliardi e nel corso
della loro formazione e funzione esiste un numero enorme di
possibili interazioni. Che significa? Forse esiste anche un
numero enorme di possibili visioni o interpretazioni degli
stimoli ricevuti dall'esterno attraverso i nostri sensi? Se
le cose stessero così, meglio dimenticare Kant e la
sua categoria causa-effetto, compresi gli occhiali verdi messi
al piccione appena nato e mai più tolti, che farebbero
vedere all'animale adulto che vola, un mondo tutto verde che
forzosamente egli crederà reale. Allora l'uomo non
avrà altra speranza che la fede, dovrà arrendersi
e rinunciare alla ragione.
E il “sapiens”, per quanto possiamo sapere e immaginare,
ha sempre avuto una fede. Ha sempre creduto in qualcosa mai
visto, né udito. Solo raramente ha tentato credere
possibile abbandonare la fede e sostituirla con la ragione,
con la scienza, ignorando quanto rare fossero le probabilità
di una vera scienza o più esattamente ignorando che
la scienza è solo una delle tante interazioni possibili
tra i neuroni. 
Uomini
e topi (nulla a che vedere con il racconto di Steinbeck)
Com'è fatto un topolino? Ha una testa con occhi, orecchie,
bocca . Ha un corpo che contiene due polmoni, un fegato, due
reni e un apparato digerente insieme ad un sacco di altri
organi. Ha quattro arti, due anteriori e due posteriori ed
una coda. In un documentario ho visto che il topo domestico,
quando si sveglia, fa la sua pulizia utilizzando le zampe
e la lingua. Poi, passa il resto del suo tempo nutrendosi
e riproducendosi.
Com'è fatto un uomo? Ha una testa con occhi, orecchie,
bocca . Ha un corpo che contiene due polmoni, un fegato, due
reni e un apparato digerente insieme ad un sacco di altri
organi. Ha quattro arti, due anteriori ed altri due di maggiori
dimensioni. Non ha coda. Quando si sveglia, fa la sua pulizia
utilizzando gli arti superiori. Poi passa il resto del suo
tempo lavorando ( e questo potrebbe essere assimilato alla
ricerca di alimenti del topolino), nutrendosi e riproducendosi.
L'uomo pensa, parla e scrive. Il topolino non parla e non
scrive, questo no, ma pensa e non ce lo dice. L'uomo costruisce
città, navi ed aerei ed il topolino no. Ma il sapiens
primigenio non sapeva di queste cose e neppure le immaginava.
Un marziano che venisse sulla terra a classificare animali
ci direbbe che uomini e topi sono ambedue mammiferi. La differenza
è una questione di forma e dimensioni che han variato
molto, nelle due specie, nel corso dell'evoluzione.
La vita è di breve durata per il topolino e molto più
lunga per l'uomo, misurando il tempo come giri della terra
su se stessa e intorno al sole, ma ambedue, alla fine, devono
affrontare la morte. Allora organi e tessuti sono aggrediti
da uno sterminato numero di microrganismi ed integrati al
ciclo della materia organica. In ambedue i casi solo resta
un mucchietto d'ossa. Fosfati di calcio e pochi altri sali
minerali.
Uomini e topi son poi tanto diversi? Sì, ma...
Il
bosco sacro, a lato dell'autostrada.
(*)
Ho trascorso metà della mia vita, ed ho studiato, in
Italia. Già molti anni fa, in Argentina per lavoro,
durante un'estate molto calda decidemmo, con la mia compagna
e una famiglia amica, d'andare in vacanza al mare. In riva
all'oceano,naturalmente, che è ben diverso dal Mediterraneo,
ma che è sempre mare, anche se al largo passeggiano
i pescecani.
Nelle ore calde della giornata, quando l'asfalto sembrava
volersi arroventare, i nostri amici e guide decisero di abbandonare
l'autostrada e presero per una sentiero di terra. Andiamo
a vedere il boschetto, dissero. Non c'è niente di particolare,
però è bello. Vi accadono cose rare , e poi
c' e molto fresco.
Era un bosco di non grandi dimensioni, con grandi alberi.
È raro da vedere alberi nella pampa umida, dove alberi
non crescono naturalmente. Ce ne sono solamente vicino alle
residenze delle estancias, piantati dall'uomo.
Il piccolo bosco era recintato con filo di ferro e chiuso
con un cancello che tutti potevano aprire. C'erano alberi
alti e ombrosi. C'era un sentiero, ma si poteva andare in
qualsiasi direzione poiché i tronche erano ben spaziati.
Dopo quella giornata tanto calda, passata sull'asfalto, in
quell'ambiente con un'ombra densa, con l'aria fresca che vi
si poteva respirare, sembrava d'essere entrati in un paradiso
terrestre. La luce solare era attenuata e non feriva gli occhi.
Non c'era nient'altro, ma si stava così bene, passeggiando
e conversando al fresco, che trascorse più di un'ora
prima di riprendere la via verso il mare.
L'amica raccontava alla mia compagna di cose strane viste,
udite o accadute nel luogo. Ma pur con la migliore volontà
non riesco, ora, a ricordare di che si trattasse, tanto poco
era il mio interesse a quello che ritenevo fossero superstizioni
e in ogni modo stupidaggini. Io camminavo avanti ed udivo
solo alcune frasi mozze. Alla fine riprendemmo il cammino,
arrivammo alla città balnearia e ci godemmo quei pochi
giorni di vacanza che ci erano stati concessi.
Ora che sono vecchio, senza molto da fare, ricordando quel
giorno nel bosco ombroso, fresco e quieto e la sensazione
di calma e serenità che si provava in quel luogo, penso
a quanto era stato fuori luogo il mio scetticismo. A ginnasio
ed al liceo quante volte, traducendo testi latini e greci,
il professore ci aveva parlato di boschi sacri ad un dio,
di quelle genti. A Spoleto, in Umbria, una iscrizione sulla
pietra enumera le pene da infliggere a chi profanava il bosco
sacro a Giove. Diana aveva il suo bosco sacro sui colli Albani,
vicino al lago di Nemi, presso Roma. In molti altri posti
esistono, in Italia, indizi dell'esistenza, in tempi lontani,di
boschi sacri ad un dio.
E perché non devono esserci boschi sacri in America?
Furono forse importati dai conquistadores e certamente ne
saranno esistiti vari anche prima della conquista, al tempo
degli indios. Boschi nei quali si stava molto bene, protetti
dagli alberi e dove si immaginavano o meglio di udivano voci
e suoni degli dei e si vedevano ombre rapidamente svanite
e che quindi dovevano essere sede di chi sa quale loro divinità
, scomparsa con la scomparsa della loro civilizzazione.
Ed esisteranno sempre boschi sacri, finché esisteranno
gli uomini con la loro fantasia ed il desiderio, sempre vivo,
di venire a contatto con esseri superiori. 
Breve
storia dell'aratro.
L'agricoltura è nata tanto tempo fa. Forse 10.000 anni.
Per prima cosa l'uomo riuscì a domesticare animali
selvaggi e questo aiutò a renderlo sedentario. L'uomo,
più o meno sedentario, iniziò ad osservare il
ciclo delle piante, la loro crescita, la formazione dei fiori
e dei semi, la risemina ed il nascere delle nuove piante,
ed un uomo di genio se la ingegnò per raccogliere semi
e nasconderli nel suolo ed aspettare la formazione di nuove
foglie, semi e tuberi che in tal modo poteva ottenere nella
quantità a lui necessaria e che poteva inoltre conservare
per il resto dell'anno. Era nata la prima era dell'agricoltura.
Poi, un bel giorno, un altro genio immaginò di usare
un residuo del tronco di un albero per aprire un solco e,
per lavorare meno, fece trainare il tronco da uno dei suoi
animali domestici o quasi. Era nato l'aratro di legno, che
poi fu modificato in mille modi, col passare dei secoli.
Nell'età del bronzo si fecero aratri di metallo, che
duravano più tempo ed erano qualcosa di simile a ganci
che raschiavano la superficie della terra e, sempre col passare
dei secoli, si unirono altre parti di legno, poi di metallo
che rovesciavano il pane di terra, eliminando in tal modo
le erbe spontanee dannose al raccolto. Passarono millenni
e nel 1600-1700 dc. gli aratri erano già quasi tutti
di metallo e per di più potevano essere trainati da
macchine a vapore e poi da trattori simili ai nostri moderni.
Era la seconda era dell'agricoltura.
Poi nei due secoli seguenti l'agricoltura si sviluppò
in forma impensabile. Forse dobbiamo al genio di Mendel e
di Pasteur, alle nuove specie vegetali venute dall'America,
l'essere riusciti a rendere bugiarde le ipotesi di Malthus
che promettevano fame, dovuta alle crescita in maniera geometrica
della popolazione umana.
Ora abbiamo l'ingegneria genetica e, presto, potremo fabbricare
in laboratorio piante, o meglio organismi capaci di produrre
gli alimenti a noi necessari, con le qualità che riterremo
più opportune.
E l'aratro accompagnò sempre la crescita delle civilizzazioni.
All'inizio realizzava un graffio sulla superficie del suolo,
appena sufficiente a ricevere i semi. Poi l'uomo costruì
aratri che lavoravano sempre a maggiore profondità,
sino ad ottenere il taglio di una zolla sufficientemente profonda
per essere rovesciata e seppellire così la vegetazione
spontanea. Poi si volle ottenere una profondità di
lavoro sempre maggiore per modificare la struttura naturale
del suolo ed ottenere la penetrazione e conservazione delle
piogge in profondità ed esporre all'aria, all'ossigeno
e al calore dell'estate le zolle ed ottenere la loro disgregazione
e la solubilizzazione delle sostanze nutritive. E In tal modo
aumentava l'erosione del suolo e si andava verso la desertificazione
e desertizzazione di sempre maggiori superfici.
Quanto accadde nella prima metà del '900, in America
del Nord, generò un allarme mondiale e maggiore interesse
per l'erosione eolica e finalmente si cominciò ad intendere
che forse era meglio non modificare la naturale struttura
del suolo e che le piogge potevano essere conservate in profondità
mantenendo la superficie coperta con residui vegetali .
E si parlò di riduzione delle rimozioni del suolo con
un minimo di lavori, e si usarono aratri di nuove forme, aratri
a disco, erpici ed altri attrezzi, sempre con l'idea che il
suolo doveva essere rimosso dall'uomo per fare infiltrare
l'acqua della pioggia ed aumentare la fertilità.
Ma alcune semplici esperienze e l'uso di erbicidi per controllare
la vegetazione spontanea, dimostrarono quanto fossero sbagliate
quelle idee che dominarono per millenni l'agricoltura. La
migliore struttura del suolo è la naturale, che permette,
inoltre, la facile penetrazione delle radici. La migliore
infiltrazione e conservazione dall'acqua di pioggia si ottiene
lasciando in superficie i residui delle coltivazioni, come
avviene nei boschi.
E nacque la semina diretta o labranza cero o no tillage o
sod seeding che, con la fitotecnica, l'ingegneria genetica
e la fitochimica domina l'attuale agricoltura.
E l'aratro fu abbandonato, arrugginito ed ormai inutile, in
un angolo del campo. 
Pensieri
L'uomo può credere qualsiasi cosa. Tutto ciò
che è razionale e, per ciò che non lo è,
c'è la fede. E la fede si acquista con la ripetizione
continua, in tempi sufficientemente lunghi, delle supposte
verità. Questo lo sanno bene tutti i professionisti
della pubblicità. Alla televisione vediamo un sacco
di documentari che ci mostrano la natura della materia, dell'universo,
la nascita della vita e la vita presente attualmente su questo
nostro pianeta.
Ora sappiamo o crediamo di sapere di biologia, di genetica,
di fisica e di tante altre cose. Sappiamo o crediamo di aver
scoperto l'evoluzione dei viventi, le leggi del caso, che
non è caos, e l'importanza del tempo, che ne sono alla
base. Ma per passare da una pulce a un elefante il percorso
è lungo. È una questione di selezione naturale,
di mutazioni genetiche e di tempi molto, molto lunghi. Sì,
sì...ma anche la differenza tra un'alga unicellulare
e una balena è grande! Abbiamo inventato la scienza
su base razionale, ma non sappiamo ancora molto su quell'organo
che è il nostro cervello, dove c'è la ragione.
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È più facile affrontare la morte che aspettarla.
È una questione di tempo. Sempre il tempo!
Tutte le volte che ci si pone un problema, uno di quelli davvero
importanti per l'uomo, dei pochi importanti, ci si ritrova
con il tempo tra i piedi.
Milioni e milioni di anni...che poi diventano anche anni-luce,
ovvero spazi, tanto grandi da dover utilizzare la velocità
della luce insieme al tempo, per poterne parlare.
Il tempo è la quarta dimensione dello spazio, che per
di più è curvo...che significa? Se noi non possiamo
neppure immaginare una quarta dimensione! Evidentemente ci
manca qualcosa nel cervello, che sia capace di percepire queste
realtà. Le altre definizioni sono solo deduzioni di
pura matematica e che difficilmente possono soddisfare la
fantasia umana.
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